Mini e la sua storia: un sistema a dir poco geniale!
L’auto di oggi è stata, per un periodo, la più piccola sportiva del gruppo BMW e la sua storia comincia alla fine degli anni ottanta, quando la casa di Monaco di Baviera voleva allargare la gamma di vetture da proporre al pubblico, espandendosi nel settore delle “piccole a trazione anteriore”. Fino all’uscita di alcuni tra i più recenti modelli, infatti, il marchio bavarese si fregiava di produrre automobili dal carattere sportivo. Tutte avevano la trazione posteriore, mentre solo per alcuni modelli era prevista la quattro ruote motrici.
Nel 1994 BMW firma l’accordo con British Aerospace per l’acquisto di Rover Group che, nel suo ventaglio, aveva la carta vincente: la MINI 1.3 Cooper, messa sul mercato agli inizi degli anni ’90.
La versione per questo articolo è la MK6, caratterizzata dal motore ad iniezione e disponibile con catalizzatore: per molti l’ultima vera MINI; per altri già snaturata per via dell’abbandono dei carburatori. Per questo, definirla “BMW” è forse improprio, dato che l’acquisto si è formalizzato quando l’auto era già stata realizzata e presentata al pubblico e, che, prima del successivo aggiornamento, di “biemmevù” non c’era proprio nulla… Ma cos’è esattamente la MINI di quegli anni? Vicino alla fine del secolo, le auto sportive, grazie al progresso tecnologico, stanno crescendo in prestazioni. Accanto a questa evoluzione c’è però un’icona delle piccole sportive che non cambia o, per lo meno, lo fa senza darlo troppo a vedere: questa è la MINI MK6!
La MINI nasceva in Inghilterra a metà degli anni cinquanta come un’auto pronta a rispondere al grande cambiamento dettato dalla crisi petrolifera, puntando a soddisfare le nuove esigenze che ne derivarono. Al suo creatore, Sir Alec Issigonis, erano stati imposti limiti ben precisi: la vettura doveva avere un determinato ingombro, doveva essere economica e più appetibile anche per un pubblico femminile, nonché comoda da usare in città e, soprattutto, parca nei consumi; il tutto mantenendo quattro posti ed un bagagliaio capiente. Per far fronte a tutte queste richieste, fu progettato un sistema a dir poco geniale che permetteva di racchiudere motore e cambio sotto lo stesso cofano. Questa configurazione aveva lo scopo di lasciare tutto lo spazio dell’interno a disposizione degli occupanti, raggruppando motore, trasmissione e altri organi meccanici in un unico “pacchetto”. Negli anni successivi molte altre auto hanno adottato questa soluzione, ma la MINI è stata la prima ad utilizzarla su una produzione di serie
Tra gli altri, il titolare del Team di Formula 1 John Cooper ne riconosce il grande potenziale innamorandosi delle sue doti di agilità e, nel 1961, presenta un’omonima versione elaborata, che regala prestazioni degne di nota ed è destinata a diventare un “marchio nel marchio”. Negli anni ’90, dopo 40 anni di Mini, non sembrava vero poter vedere a listino “il nuovo” modello (timidamente rilanciato da Rover) che ricalcava le forme dell’originale. La versione Cooper MK6 arrivò nel 1993, come versione di alta gamma, presentandosi con il motore 1.3, dotato (per via delle norme anti inquinamento) dell’iniezione: questo era in grado di sviluppare 63 CV, ben lontani dalle antenate Cooper e Cooper S.
Questa Mini Cooper era poi riconoscibile dal tetto bianco e dalle famose strisce adesive coordinate che percorrevano le lievi scanalature del cofano anteriore. In generale, questa vetturetta appariva anche più muscolosa per via dei passaruota allargati (che le davano un’aria più corsaiola, da “sportiva che non ti aspetti”) insieme agli enormi cerchi in lega da 12 pollici; il tutto completato da un terminale sportivo cromato (sulle versioni con Sport Pack l’uscita era montata centralmente) che aiutava questa piccola belva a fare anche la voce grossa. Le differenze dell’interno di questa versione, con le altre a listino erano minime. La Cooper appariva internamente un poco più “raffinata”, ma la sostanza non cambiava. Così, insieme ai piccoli miglioramenti, la vera rivoluzione era che MINI si portava dietro i soliti “difetti”, come la oggettiva poca comodità, soprattutto per le persone di statura più elevata e la guida “disassata” (cioè con lo sterzo posto fuori asse rispetto alla pedaliera), la posizione del volante stile go-kart.. Insomma, tutto quello che ha contribuito a rendere la MINI unica ed originale: il suo marchio di fabbrica.
A completamento della configurazione che piace a noi sportivi, non possono mancare i classici fendinebbia stile rally, incastonati sulla generosa griglia frontale, che donano all’auto un aspetto ancora più sportiveggiante ricordandoci, ogni volta che li vediamo, le grandi imprese di cui questo piccolo grande mito è stato capace, facendoci sognare una fuga alla “Italian Job”…
La capacità di perdurare nel tempo, mantenendo quel disegno così “semplice” l’ha resa oggi un’icona intramontabile, via via sempre più apprezzata e ricercata anche dai giovani, perché riesce in quello che oggi molte auto non riescono più a fare: strappare un sorriso a chi ne vede sfrecciare una nel traffico di tutti i giorni.
..io l’Adoro..!