MINI Cooper, il minimalismo del nuovo design non ci convince
Sono sincero. Ho sempre amato la Mini, tanto che ne possiedo una nella sua declinazione più sportiva, ossia la John Cooper Works.
Quando nacque la nuova generazione di BMW, disegnata da Frank Stephenson (il cui sviluppo iniziò nel 1995, ma vide la luce nel 2001) ne sono subito rimasto affascinato; la nuova vettura fondeva i tre archetipi del corpo umano: un solido corpo maschile, sensuali curve femminili e persino alcuni elementi arrotondanti tipicamente infantili.
Ai primi due spetta l’attirare il pubblico maschile, al terzo di conquistare quello femminile, diceva il designer Americano. Subito qualcuno gridò alla scandalo, ma si capì anche che sarebbe diventata (ancora una volta) un oggetto di culto.
La storia del brand è complessa e passa attraverso diversi passaggi di proprietà che, tuttavia, non hanno mai smorzato l’entusiasmo dei primi giorni. Ma in ognuno dei suoi restyling, seppur migliorando qualitativamente, la Mini diventa sempre più grande e perde (anche) un po’ di quel fascino che l’aveva resa così famosa negli anni ’60.
La quinta generazione (presentata in questi giorni) mi lascia molto perplesso. Se infatti il design minimalista, la silhouette compatta e l’imponente griglia frontale conferiscono al nuovo modello i suoi tratti distintivi, il posteriore (vi prego!) rovina tutto, con un design nuovo ma troppo di rottura e lontano dalla tradizione.
Un po’ come le luci posteriori a matrice ridisegnate.
Ok, è una rivoluzione di linee e spigoli, forme triangolari che tracciano un volume che per qualcuno può risultare anche visivamente molto aggressivo, ma a me da l’idea di una nuova vettura e non più di una rivisitazione, in chiave moderna, di un’icona che si chiama Mini. E su questa scelta, leggetevi la cartella stampa Italiana, non si fa alcun riferimento.
Perchè?
Capisco che la nuova Mini elettrica deve risultare d’ispirazione (visto che si fa fatica a vendere), ma fa diventare l’ultima termica della storia (se non ci saranno sperati ripensamenti) un vero è proprio punto di rottura con il modello uscente. E visto il successo passato, mi pare proprio un brutto premio.
Sulla versione attualmente più potente (incredibile, si chiama ancora Cooper S, pensate) inoltre sparisce del tutto la tradizionale e “storica” presa d’aria sul cofano motore, i nuovi specchietti abbandonano (per la prima volta, da quando è nata) la classica forma a “uovo” per diventare quasi rettangolari, resiste lo spoiler aerodinamico (anche se più defilato) ma sparisce, infine, lo scarico a vista.
Dentro, le linee pulite sono il segno distintivo dell’abitacolo. La Mini Interaction Unit è stata spostata più vicino al guidatore. Il diametro del sottile display OLED ad alta risoluzione con bordo in vetro di alta qualità è di 240 mm. La sua logica di funzionamento è simile a quella di uno smartphone e può essere utilizzata in modo intuitivo tramite il tocco. Il bagagliaio può essere ampliato in modo flessibile da 210 litri fino a un volume di 800 litri.
Due le varianti di propulsione: con una potenza di 150 kW/204 CV, il motore a quattro cilindri della Mini Cooper S accelera da 0 a 100 km/h in 6,6 secondi, con una coppia massima di 300 Nm. Il motore a tre cilindri da 115 kW/156 CV della Mini Cooper C eroga, invece, una coppia di 230 Nm e accelera il veicolo da 0 a 100 km/h in 7,7 secondi.
Le nuove varianti di allestimento sono Essential, Classic, Favoured e JCW e offrono (come in passato) un’ampia gamma di opzioni di personalizzazione che, negli anni, hanno saputo conquistare un pubblico sempre più grande. Pare rimarrà anche il go-kart feeling (quasi) invariato a distanza di mezzo secolo dal modello originale. Lo scopriremo quando (e se) potremo provarla.
Ma quel dietro, NO, vi prego, non si può proprio guardare.
Punto!
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