Con la Moncenisio all’estremo Nord: ecco Norkapp, il tetto del mondo
Se c’è una cosa che ho capito, nei miei incontri Torinesi con Alfredo Stola, è che è un uomo molto concreto e determinato; se vi parla, quindi, di un progetto, per quanto bizzarro esso sia, beh, state pur certi che lo porterà a termine. E con vero piacere, quindi, che condividiamo la parte finale della sua spedizione per raggiungere il Circolo Polare Artico o, come lo chiamano da quelle parti, Napapiri.
Il pomeriggio piovoso che abbiamo passato con Lui, un po’ di tempo fa, e la sua Moncenisio (altra protagonista indiscussa di questa impresa) eravamo preoccupati di come avremmo dovuto (per via dello shooting fotografico) esporre alle intemperie la fuoriserie su base Porsche; ma se c’è una cosa che Alfredo ci ha insegnato è che queste sportive, per quanto preziose e uniche, beh, vanno in primis vissute e “guidate”, con ogni tempo o clima, dal suo proprietario.
E questo viaggio estremo e la dimostrazione più intima, e priva di vincoli, del vero rapporto “uomo-macchina”.
Complimenti a tutto lo staff e… A presto !
NORDKAPP (NORVEGIA) – Il quarto giorno del mio viaggio all’estremo Nord con la Moncenisio è diverso dagli altri: ci attende il traguardo. Abbiamo in questi giorni percorso solo pianure ad eccezione di piccolissime colline alte meno di cento metri. Questa salita che stiamo per iniziare e che rappresenta l’obiettivo del viaggio, nella notte mi ha fatto venire un pensiero: avrei potuto far mettere un 20% in piú di chiodi sugli pneumatici. Penso di essere in anticipo sui tempi per l’appuntamento con il Convoy delle 11 al bivio per Skarsvag. Questa è una tappa obbligatoria a 13 chilometri prima dell’arrivo per qualunque automezzo: per salire a Nordkapp, il comune più a nord della Norvegia e d’Europa, in inverno bisogna essere preceduti da uno spartineve gigante e seguiti da un mezzo di soccorso; idem per la discesa. Passiamo accanto al piccolo aeroporto, la strada costeggia il mare e inizia un falsopiano in salita. Di fianco e di fronte solo montagne imbiancate e sferzate da un vento che non soffia mai, in questa stagione, a meno di 50 km l’ora. L’ambiente che ci circonda é aspro, mi dà l’idea di una natura forte e selettiva. Perdiamo di vista gli ultimi cottage sul fiordo, lussuose abitazioni in stile locale per facoltosi cittadini di Oslo.
La strada inizia a salire quasi senza protezioni e il fondo si intervalla da totalmente innevato a solo ghiacciato. Sotto la totale trasparenza si vede l’asfalto, insidioso, che potrebbe ingannare. Mi sembra di aver capito che questo dipenda da quando si é sopravento o sottovento, nel primo caso si vedono suggestive onde di polvere di neve tagliare diagonalmente la strada. In questa fantastica salita verifico la grande potenzialità del cambio PDK. Lo inserisco su manuale e con le palette regolo con grande precisione i giri del motore e la relativa presa dei chiodati sulla strada; penso quanto sarebbe piú difficile con un cambio normale con la frizione a pedale. Arriviamo a un lungo rettilineo e scorgiamo il punto di incontro: l’accesso è sbarrato. Entriamo alle 10,45 nel piazzale, siamo preceduti da quatto Defender passo lungo con targa inglese. Regalo agli occupanti gli adesivi Arctic Experience, che raccontano il nostro tour.
Il capo Convoy sta seduto due metri sopra uno spazzaneve molto particolare, la cui funzione primaria è togliere la neve dal bordo sopravento del tracciato. Avete mai visto il programma su National Geographic “gli eroi del ghiaccio”, dedicato ai camionisti che lavorano in Alaska? Il capo Convoy ha la stessa faccia, la stessa corporatura per quanto si puó scorgere da un abbigliamento ipertecnologico. Chiedo di procedere per ultimo e un po’ distaccato dai tre Land Rover, immaginando che siano piú lenti di me; con le mie larghissime gomme io ho bisogno di piú velocitá, non posso rischiare di rallentare troppo; fermarsi potrebbe significare non poter piú ripartire autonomamente. Inaccettabile, in questa storia, dover essere trainati anche solo per pochi metri. Alle 11 il termometro segna -6 e senza preavviso la colonna preceduta dal grande camion e chiusa dal mezzo di soccorso inizia la salita. Contro le consuetudini, come concordato, parto con duecentro metri di distacco: la cosa si dimostrerá negativa. Il sentiero é segnato da paletti arancioni con i catarinfrangenti sia a destra che a sinistra, ogni dieci metri. Le condizioni della strada sono peggiori della prima parte della salita, colpa dell’ altitudine superiore e della forza del vento. Anche qui la strada offre tratti innevati e altri di nero asfalto totalmente ghiacciato. A metá percorso, mentre osserviamo sulla desta un alto muro di neve, veniamo avvolti da una specie di bufera che in 15 secondi riduce la visibilitá a zero. Avete presente la frase “c’era una nebbia che non si vedeva il cofano?” Ora siamo in questa situazione. Procedo alla cieca qualche secondo, sento strusciare leggermente la parte destra della Moncenisio lugo il muro di neve sul lato di Lubrano, perplesso per la situazione. Mi fermo per aspettare che passi. Voglio provare a ripartire volendo solo fare venti centimetri in avanti per capire se ho ancora aderenza o sono rimasto piantato.
Sulla sinistra, a pochi centimetri dal finestrino, mi appare l’autista del mezzo di soccorso, gli faccio segno con il pollice che é tutto ok e che sono fermo solo perché non vediamo piú nulla. Tre minuti e la tormenta passa, metto la retro, riprendo aderenza quindi posiziono il cambio su drive e ripartiamo. Ecco il motivo per cui bisognava viaggiare incolonnati: ognuno doveva seguire i fanali rossi di chi lo precedeva e quindi il camion del Convoy. Sono un po’ teso e guido per i restanti chilometri con il naso appiccicato al parabrezza e i gomiti piegati su volante.
Ore 11,35: arriviamo all’osservatorio di Norkapp e grazie alle mie relazioni epistolari e telefoniche di due anni con i signori Paulhansen e Jannette ( maneger della struttura), immediatamente si apre un cancello per consentirci di dirigere la Moncenisio sotto il Globo d ’Acciao, l’ambita meta di questa “Arctic Experience” ideata da Studiotorino. Scattiamo le foto di rito al prototipo identificato con la sigla S.F. 1/1 in ricordo di mio padre Francesco Stola. La soddisfazione è grande, abbiamo raggiunto l’obiettivo nei tempi e nei modi previsti. Possiamo riprendere il cammino per il ritorno.
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