Fiat Abarth 124 Rally (1° parte)
LA FORMULA MAGICA Fiat Abarth 124 Rally (1° parte)
Nel mondo dell’automobile esistono delle regole alle quali non si può sfuggire: come nell’alchimia – dove si fondono chimica, fisica, meccanica e filosofia – anche nei motori spesso la magia nasce da antiche sapienze… Almeno quando la ricerca non è quella meramente razionale, quanto piuttosto una spinta passionale, quasi spirituale… Certo, la tecnologia gioca sempre un ruolo fondamentale, ma spesso è l’intuizione della semplicità a fare la differenza. Soprattutto quando l’obbiettivo prioritario è offrire sensazioni ed emozioni.
Nel mondo dell’automobile sportiva, le regole sono poche ma fondamentali: per fornire adrenalina a ettolitri, una macchina deve essere leggera, bilanciata, bassa e reattiva. Una formula, questa, che si ottiene con pochi ma decisivi elementi: motore anteriore longitudinale (il più possibile arretrato), baricentro basso, dimensioni compatte (per limitare il peso e accrescere l’agilità), allestimento essenziale (sempre per limitare il peso), materiali leggeri (ancora per limitare il peso), trazione posteriore (per NON limitare il divertimento). I cavalli nel motore ci devono essere, ma non importa quanti in assoluto, basta che siano tanti in relazione alla massa. Si chiama rapporto peso/potenza, ed è il dato che scaturisce da questa formula a poter fare di un’auto un’auto sportiva.
Esattamente cinquant’anni fa, alla fine del 1966, Fiat presentò la 124 Spider, splendido oggetto disegnato da Tom Tjaarda per Pininfarina e motorizzata con un propulsore 1.438 cc da ben 90 CV, capostipite di quella genia straordinaria definita “bialbero Fiat” (progettata da Aurelio Lampredi) considerata ancora oggi la più importante famiglia di 4 cilindri mai realizzata. La macchina, che corrispondeva perfettamente alla “formula magica” di cui sopra, oltre ad essere bella, andava anche forte, e pur non essendo nata per quello scopo, venne scelta da subito e sempre di più dai piloti privati che correvano nell’allora emergente specialità dei rallies. E i risultati arrivavano, tanto che Fiat decise di impegnarsi direttamente nelle corse, schierando la seconda serie della Spider – arrivata a fine ‘69 – che adottava un brillante 1.608 cc da ben 110 CV, sempre con una massa che superava di poco i 900 kg. Nel 1971, con l’acquisizione del marchio Abarth, il Gruppo torinese si trovò così a disporre anche di un vero reparto corse, cui affidare preparazione e gestione in gara delle Spider, e nel ’72 Lele Pinto (pilota) e Gino Macaluso (navigatore) portarono in Corso Marconi (e in Corso Marche…) la coppa del massimo risultato possibile in quegli anni, vale a dire il Titolo Europeo Rally.
Dall’anno successivo, però, con la nascita del Campionato del Mondo bisognava vedersela con avversari terribili come l’Alpine Renault A110, la Porsche 911, la Ford Escort RS, la Lancia Fulvia HF (che, si mormorava, sarebbe stata presto sostituita da un autentico mostro, dallo strano ma spaventoso nome di Stratos…), e tanti altri… La 124 Spider, pur nata dalla “formula magica”, era ormai arrivata al massimo di quel che poteva dare: il suo piccolo 1.6 e la sua sospensione posteriore a ponte rigido erano limiti che non le consentivano le necessarie evoluzioni. Occorreva dunque una magia: farla crescere senza stravolgerla, perché il tempo era poco, il budget limitato e per giunta l’omologazione per le corse imponeva un minimo di produzione di almeno 500 esemplari, che si dovevano poter normalmente acquistare, targare e mettere in strada… E in pochi mesi, in quelle Officine Abarth in cui spesso la passione tecnologica si è mescolata con l’ispirata sapienza, l’”alchimia” produsse la magia: si chiamò Fiat Abarth 124 Rally, derivava strettamente dalla Spider di Fiat, ma con pochi, magistrali interventi era diventata un’altra macchina. Una macchina per vincere.
Ecco la formula: motore un po’ più grosso e potente (ma nemmeno molto, da 1.608 a 1.756 cc, grazie all’arrivo del motore 132 al posto del 125, da 110 a 128 CV, ottenuti con 2 carburatori Weber doppio corpo), peso limato all’osso (poco più di 800 kg, circa un quintale in meno!), sospensione posteriore ridisegnata. Detto così sembra facile, ma non lo fu per niente… Anche perché si partiva da un’auto già leggera ed essenziale, priva – come tutte le auto di quei tempi – di quei tanti orpelli ed accessori oggi invece comuni quanto inutili per andar forte. La dieta vide la rimozione dei paraurti, l’adozione delle portiere in alluminio e dei cofani in plastica, l’abolizione della panchetta posteriore (la Spider nasceva ottimisticamente come 2+2), il montaggio di vetri laterali più sottili, di pannelli porta semplificati e di un sottilissimo foglio di alluminio quale rivestimento della plancia al posto del legno, con l’asportazione addirittura dello sportellino del cassetto portaoggetti… Pesava poco, ma pesava, e in gara non serviva! Sparì anche la capottina in tela (per ragioni di sicurezza in corsa era obbligatorio l’hard top, che divenne così dotazione standard), anche per lasciare il posto al rollbar, di serie.
Cerchi specifici mezzo pollice più larghi, scarico sdoppiato sportivo e volante in pelle a tre razze – tutto materiale di produzione Abarth – arricchirono la dotazione tecnica, ma si pensò anche ai dettagli utili in gara, come lo spostamento del bocchettone di rifornimento, non più laterale e coperto da uno sportellino, ma orizzontale alla base del lunotto, perché nelle assistenze dei rallies la benzina si metteva “al volo” con le taniche…
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